Il barbiere di Chioggia II°

 

Il quadro del finestino alterna campi coltivati ai capannoni delle zone industriali della pianura padana.

Abbiamo deciso, dopo le giá numerose gite a Venezia, di farci una giornata nei dintorni della laguna.

Martina sfoglia una rivista comprata alla Centrale, io ho dato un'occhiata veloce al mio giornale e poi all'avvio del treno mi sono fatto prendere dalle geometrie in movimento dei binari, degli scambi, dei cavi sospesi e di quelle arcane strutture e apparecchiature che tratteggiano una grande stazione. Voglio gustarmi ogni momento di questa giornata e il viaggio in treno é giá parte dell’avventura.

Viaggiare in treno mi é sempre piaciuto: la quiete degli scompartimenti accompagnata dal rumore ritmico delle ruote: tutun-tutun, tutun-tutun, all'infinito, fino a non percepirlo piú, l’incontro fuggevole con sconosciuti, l’odore tipico delle carrozze e lo scontato ma sempre di sorpresa "prego biglietto"...

 

Avevamo scelto un sabato di inizio primavera per evitare la calca del turismo e della folla calcistica in trasferta, una giornata di assoluto relax senza nessun obiettivo culturale, solo la ricerca di scorci e di atmosfere della laguna, la genuinitá di ció che non ha valore commerciale.

Martina é seduta di fronte a me. Mi piace osservarla mentre é presa nelle attivitá piú banali, un voieurismo contemplativo per quanto é bella con la sua cascata di boccoli biondi che le cadono sulle spalle, le sue efelidi, la linea delle sue labbra e tutto il resto.

 

“E’ libero qui?”. E' la domanda un po’ banale della ragazza entrata in uno scompartimento con sole due persone accomodate ai lati del finestrino.

Una brunetta, capelli corti, giovane, forse una studentessa che torna a casa per il weekend o che va a trovare il fidanzato.

Mette la borsa sulla rete e si accomoda nell’angolo a fianco della porta quindi si alza si toglie il giubbino lo piega e lo pone a fianco della borsa e si siede di nuovo; dopo pochi secondi si rialza prende la borsa ne estre un libro, ripone la borsa e si risiede.

Rimango a guardarla un po’ divertito pensando a cosa altro ancora manca per sistemarsi definitivamente.

Ok, sembra tutto a posto... no, la ragazza si rialza prende il giubbino, toglie il cellulare da una tasca, ripiega  il giubbino e si risiede, prende il libro e scartabella cercando il segno.

Mi rendo conto che la sto osservando con una leggera espressione divertita sul viso.

Lei mi guarda un attimo, mi lancia un sorriso di disimbarazzo che istintivamente ricambio.

Come una frecciata mi arriva l’occhiata di Martina al disopra della rivista.

Giro lo sguardo al finestrino. Alcune colline perse nella grande pianura appaiono sulla destra della nostra direzione. Siamo dalle parti del lago di Garda penso e giá lo so cosa sta per succedere perché ormai mi succede tutte le volte.

Potrebbe essere un' autosuggestione ma, prima che diventasse una consuetudine, l’ho sperimentata una quantitá di volte e alla fine ho dovuto farmene una ragione che, nel viaggiare da Milano verso est, ad un certo punto interviene qualcosa che influisce sul mio bioritmo.

Una sensazione di quiete e di benessere scoperta un po' alla volta in ripetute occasioni correndo sull’autostrada, spesso in viaggi di lavoro, nonostante la mente fosse concentrata in dati tecnici e clausole contrattuali e un'articolata agenda di impegni.

Il Veneto, il ritorno alla terra dei miei antenati, credo, o perlomeno questa é l'unica spiegazione che ho saputo darmi.

 

Stessa strana sensazione provata quella prima mattina a Bangkok quando, uscito dall'hotel in un'atmosfera calda, afosa e pregna di gas di scarico  mi ero sentito improvvisamente rivitalizzato dopo un viaggio interminabile, via Londra e Mosca, perseguitato da un gelo eccezionale e dalle misure di sicurezza per l'appena scoppiata guerra del Golfo.

Chris, il mio socio svizzero, non era ancora arrivato, bloccato a Zurigo dalla neve che imprigionava gli aeroporti di mezza Europa e io mi ero immerso nel caos dell'immensa Bangkok come se ci avessi sempre abitato, stupito e compiaciuto da questa curiosa sensazione di dejá vue.

Camminiamo verso l'uscita di Venezia Santa Lucia con il passo spedito che tutti inconsciamente assumono all'interno di una stazione.

La ragazza dello scompartimento ci supera, indossa un paio ballerine dorate che in treno non avevo notato.

"Carina, vero?"

"Che?"

"No dico, carina non é vero?"

Guardo Martina con una qualche apprensione, conosco questo tipo di approccio.

"No, se vuoi me ne vado, ti lascio il campo libero..."

"Mah, senti..." balbetto.

"No! Senti tu..." Ahi, penso, e mi vedo per un attimo correre a piedi incalzato da seicento dragoni lanciati giú per la discesa di Balaklava.

"E´mai possibile che quando vedi una donna giovane..."

Perché non dici "piú giovane di me", vorrei dirlo ma ormai sono rannicchiato a schivare gli zoccoli dei cavalli.

"...ti rimbecillisci, ti perdi incantato come un bambino di fronte a un nuovo giocattolo".

Il paragone mi sembra azzeccato ma contesto fortemente il giudizio sul mio atteggiamento. Salvo che lei non sappia leggermi nel pensiero...

"Non é vero..." azzardo.

"Come no? Come se non avessi visto come sul treno te la mangiavi con gli occhi, e poi anche i sorrisini, come se fossi una scema che non vede. Guarda, io sono stufa, te l'ho giá detto, uno di questi giorni non mi vedi piú e allora dopo non venire a piangere perché lo so come siete fatti voi uomini che sbavate dietro a tutto quello che non potete permettervi e poi quando vi ritrovate da soli allora tornate come dei cagnolini bagnati a cercare di farvi perdonare..."

L'altoparlante della stazione si intromette citando una serie di localitá costiere e permettendomi di disconnettermi dalla fucilazione verbale. Non riesco a sentirla ma con la coda dell'occhio vedo che continua a muovere le labbra. Ormai é nel tunnel e so per esperienza che la cosa andrá per le lunghe. Alla fine della sparata il broncio, poi ripicche, contraddizioni, risposte a monosillabi, segnali di insofferenza... ma che bella giornata, porc...!

 

Continuo a camminare lungo l’argine; vecchie barche si crogiolano nell’acqua opaca del canale. Sui tavolati di legno attrezzature di ogni genere sbirciano da sotto teli impermeabili. Il cielo si é coperto e l’atmosfera si é raffreddata.

Martina continua a camminare tenendosi a distanza dietro di me, freddo fuori e freddo dentro in questa giornata che avrebbe dovuto essere una tappa romantica della nostra relazione. Adesso invece vorrei solo girare un angolo e trovarmi sotto casa a Milano e poter rientrare; ho un grande senso di stanchezza.

Lancio uno sguardo in un vicolo. Forse era lí in fondo che c’era quella pensione dove ero stato con Barbara.

Quanto tempo fa? Dieci anni, almeno. Eravamo stati a Venezia, da lí al Lido, poi all’isola di Pellestrina e quindi a Chioggia, come due fuggiaschi che non trovano rifugio. Lei aveva la metá dei miei anni e non era ancora, diciamo, del tutto maggiorenne, scappata di casa perché suo padre aveva dei sospetti e non la faceva piú uscire.

La nonna aveva sistemato le cose raccontando che Barbara era a casa di lei e che per il momento non voleva parlare con il papá ma che l'avrebbe convinta a ritornare quanto prima. Intanto continuava ad andare a scuola, nessun problema, tutto sotto controllo.

Dieci giorni dopo Barbara tornava a casa sua con il sollievo di tutti, soprattutto il mio.

Se fossi stato fortunato con le madri delle mie fidanzate cosí come con le nonne...

Poi era venuta sera ed eravamo naufragati in una pensioncina nel vecchio centro di Chioggia.

Avevamo passato la notte a rincorrerci un po' ubriachi per le calli e gli argini e a nasconderci dai pochi passanti, schiacciati contro i muri dei sotoporteghi a frugarci sotto i vestiti.

 

Martina cammina con l’aria di essere attirata da tutto quello che sta attorno per sottolineare il suo disinteresse per me.

Io cerco qualcosa che attiri la mia attenzione per sottrarmi a quell’atmosfera pesante.

Giá sono iniziati ad apparire i manifesti delle prossime elezioni. I giochi di colore dei grandi fogli mezzo strappati creano composizioni degne di qualche mostra d’arte contemporanea. Su un muro la melange elettorale lascia rispettosamente spazio ai necrologi, rigorosamente nero su bianco. Filomena Meneghetto in Chieregato... Bartolomeo Dalcin detto Meo di anni 81... Paolo Canato Bressan... Giuseppe (Bepi) Zanello... é mancato all’affetto dei suoi cari... la cerimonia funebre si terrá in Madonna della Navicella...  Requiescat in pacem.

 

Non so da quanti minuti sono qui fermo leggendo e rileggendo il piccolo manifesto bordato floreale liberty.
Martina mi ha superato e ora si é fermata una cinquantina di passi piú avanti tirando foto affrettate a nulla che meriti.

Un uomo sulla sessantina dall’abbigliamento dimesso esce da un magazzino, lo fermo.

“Mi scusi. Zanello, Giuseppe Zanello, lo conosce?”

Bepi? El barber? Sicuro che lo conosco, tutti lo conoscevano, é morto due settimane fa, povareto” si interrompe come ad aspettare una spiegazione.

“Dove aveva il negozio?”

“In calle Famagosta, adesso é rimasto il figlio a mandare avanti la bottega, el gera un omo bon, amigo de tuti” sospira.

Lo ringrazio, riprendo a camminare e sento nascere dentro di me la rabbia: in quei quattro giorni che stiamo a questo mondo dovremmo prendere tutto  quanto di buono ci arriva  e invece ci roviniamo la vita per delle cazzate.

“Allora? Mi hai portata qui per rovinarmi la giornata? Come credi che mi senta, mi lasci sola senza dirmi una parola, te ne stai per conto tuo, parli perfino con i passanti e me mi lasci qui come una cretina, come se neanche esistessi, ah, ma guarda che io sono stufa di questo tuo modo, io te l’ho detto uno di questi giorni prendo e...”

“Nooo, basta! Basta con queste menate. Adesso tu te ne vai alla stazione e torni a casa per conto tuo, hai capito?” sbotto.

“...perché mi-hai-rot-to-le-palle!” scandisco a brutto muso.

Mi giro e me ne vado.

Non mi serve voltarmi per sapere che lei si sta allontanando a grandi passi nella direzione opposta facendo suonare i tacchi sulla pietra dell’argine agitando la criniera come un purosangue in corsa.

 

                                                                                                     (continua)