Sex and the village

maggio 2010

 

In mancanza di fatti di attualitá ho chiesto alla Veronica di scavare nella memoria per trovare qualcosa degno di essere raccontato, ed ecco la storia. 



Erivaldo e Dudú sono cresciuti assieme nella Lagoa do Sapo, la Laguna del Rospo. Niente giocattoli ma un'ambiente ricco di attrazioni e di occasioni di avventura, lunghe vacanze passate esplorando la foresta, pescando nel fiume, tuffandosi dagli scogli, inseguendo piccoli animali selvatici.

 

La Lagoa, un'area palustre che ha dato il nome a un piccolo villaggio ai margini del paese di Barra presenta piccoli scorci di amazzonia, mata fechada, vegetazione impenetrabile, serpenti e qualche coccodrillo. Per due ragazzini un'avventura permanente, gratis e appena dietro casa.

Inutili i richiami delle madri alla prudenza, Erivaldo era sempre quello che lanciava l'idea, Dudú non si faceva mai indietro per ammirazione e per orgoglio.

Erivaldo era alto e atletico, Dudú tozzo e con un testone grosso e tondo.

Una volta adolescenti, il contatto aveva cominciato a attenuarsi. La scarsa propensione per lo studio di Erivaldo aveva fatto sì che non frequentassero più insieme la scuola e qualche anno dopo, il nuovo compagno della mamma di Dudú aveva conficcato un coltello nella pancia di un creditore petulante e tutta la famiglia, mamma, patrigno, lui e tre sorelle avevano dovuto in fretta e furia traslocare in un altro stato dell'interno per sottrarre l'insofferente insolvente ai rigori della legge.

 

Erano tornati sei anni dopo, quando la farraginosità della giustizia, la prescrizione e l'oblio dei parenti della vittima potevano permettere un ritorno senza problemi. Era comunque saggio tenersi lontano dal quartiere di prima e allora avevano scelto di sistemersi nell'area chiamata "dei sem terra", nella parte opposta del paesaggio, nelle terre alte, che per l'indigenza dei suoi abitanti fa da contraltare alla detta Lagoa.

Dudú si era messo a lavorare per l'impresa che costruisce il raddoppio della grande dorsale stradale BR101 che arriva fin giú all'estremo sud del Brasile.

Erivaldo invece faceva lavori saltuari, quando aveva bisogno di soldi faceva qualche lavoretto, dal manovale all'imbianchino allo discorzatore di noci di cocco.

 

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E' stata una sera sotto Pasqua che il caso li ha fatti reincontrare al bar di Gilmar. Niente di cambiato, è come se si fossero lasciati il giorno prima.

Una bottiglia di cachaça, offerta da Dudú, ha fatto da catalizzatore per un resoconto di tutto quello che era successo in quegli anni.

Matrimonio? Sì, due per Erivaldo.

 

Qui la semplice convivenza viene considerata e chiamata casamento, matrimonio, anche gli effetti legali sono gli stessi. Aver convissuto per un paio d'anni implica una serie di obblighi reciproci che di solito, a relazione terminata, riescono ad essere riscossi solo a colpi di sentenze di tribunale.

 

"E tu?" Dudú non è mai stato un conquistatore, la statura e la timidezza lo hanno sempre penalizzato, Qualche storia così, niente di speciale, una botta e via grazie a qualche situazione dove l'alcool aveva ottenebrato ogni giudizio critico di ambo le parti.

"E adesso?"

"Adesso" racconta Erivaldo "ho una, si chiama Gisella, non viviamo insieme, è separata, fa la parrucchiera"

"No, non la conosco, com'è?"

"Carina, piccolina, tutta pepe, con tutti gli accessori a posto e in misura generosa direi, e poi a letto è un ciclone"

"Come un ciclone?" ride Dudù.

"Ascolta, lascia che ti racconti..."

Erivaldo si allunga un pò sul tavolo e a voce più bassa entra nei dettagli.

"Nooo, non ci posso credere"

"Te lo giuro, su questa bottiglia di cachaça..."

"Andiamo dai, sei sempre stato un cacciaballe..."

"Allora senti, più tardi devo andare da lei. Facciamo così: io lascio la finestra accostata e la luce accesa così tu da fuori puoi vedere tutto, cosa ne dici?"

Dudú guarda l'amico, tentenna un po' ma poi, come sempre, accetta di partecipare alla birbonata.

Erivaldo versa per entrambi l'aguardente e i bicchierini si scontrano rumorosamente a suggellare la nuova avventura.

 

Dieci della sera, a lato della strada che costeggia l'area dei sem terra, un casa di dimensioni modeste di mattoni forati, dipinta di un azzurrino sbiadito dal sole e ingrigito dalla salsedine. La finestra che dà sulla strada è quella del quarto, la camera da letto.

Un recinto di rete mezzo abbattuto delimita la proprietà senza più contribuire alla protezione.

Dudú si approssima. La sua bassa statura non gli permette, anche in punta di piedi, di arrivare al vano della finestra.

Poco più in là un piccolo mucchio di mattoni gli offre la soluzione. Impila alcuni mattoni e ci sale sopra.

La finestra si apre sopra la testiera del letto di Gisella; alla parete opposta un comò con una specchiera, un piccolo guardaroba laccato sulla destra, un abatjour sull'unico comodino illumina fiocamentente la stanza.

 

Le finestre tipiche del Nordeste, soprattutto nelle case piú semplici, sono molto piccole e sempre poste in alto. Non ci sono vetri, sono costituite da due ante di legno a scorrimento orizzontale con la superficie a "persiana", con le alette inclinate che lasciano passare l'aria ma solo poca luce. Unica alternativa: anzichè due ante che scorrono, tante antine verticali accostate che ruotano su se stesse.

Forse sono fatte così per rendere difficile l'intrusione di malintenzionati o forse per limitare l'irraggiamento solare. Difatto per questa ragione le case sono sempre piuttosto buie.

 

Dudú spinge lo sguardo all'interno. La partita è appena incominciata, il menù dei preliminari è decisamente assortito e gli attori non si risparmiano.

Gemiti, ansimi, mezze frasi smaniose in un turbine di passionalità infuocata.

Dudú si volge un attimo: nessuno sulla strada, nessuno a vista d'occhio, con il cuore in gola si lascia sprofondare nello spettacolo dell'uragano Gisella di cui ha l'esclusiva come unico spettatore non protagonista.

La ragazza spasima, alterna gridolini di piacere a strilli di godimento, il corpo atletico di lui si muove come un'onda che consuma la battigia.

Il gioco si prolunga in un'alternanza di allegro appassionato ad andante con fuoco con strappi improvvisi di vivace furioso, come un concerto di Paganini.

"Espera" sussurra la ragazza all'improvviso. Scivola da sotto il corpo di lui, si alza in piedi e si piazza in fondo al letto, di spalle.

Dudú ha la visione privilegiata di Gisella da dietro e di quella davanti riflessa nello specchio del comò.

La ragazza allarga le braccia e le gambe in un movimento lento e malizioso, rimane qualche secondo in questa posizione e poi si lascia cadere in avanti. Dudú sente un brivido corrergli lungo la schiena, si contrae incassando il testone tra le spalle prevedendo il tonfo sul pavimento.

Invece a metà della caduta le mani della donna incontrano il bordo del comò e rimane sospesa, orizzontale, le gambe divaricate, con la punta dei piedi sul bordo del letto e le braccia aperte tese in avanti agganciata alla cassettiera.

Il corpo molleggia in orizzontale teso come un arco mentre, spinta dalla legge d'inerzia, la sua massa erotica fluttua e ondeggia per qualche secondo intorno alla tensione dei muscoli.

Il suo compagno si approssima in un gioco che evidentemente già conosce.

Dudú invece sente approssimarsi uno tzunami nei calzoni.

 

Chiude gli occhi come a scolpire nella memoria quel momento ma basta questo per ricollegarlo per un attimo con il mondo esterno.

Il ronzio del motore di un'auto, ferma sulla strada, richiama la sua attenzione.

Prima che possa girarsi il contatto discreto tra le scapole del manganello dell'agente di polizia Betinho lo riporta angosciosamente alla realtà.

"Buonasera, cosa sta facendo?"

"Io, io, niente... sto... io... oddio!" balbetta Dudú dall'alto dei mattoni.

"Questa è casa sua?"

"Sì, cioé no.. è casa di un mio amico... no di una sua amica..."

"E lei cosa sta facendo qui?"

Dudú vorrebbe morire.

"Io... sto controllando... se la finestra funziona"

Qualche metro più indietro l'agente Pavanello, antiche origini italiane, parceiro di Betinho batte ritmicamente il manganello sulla palma dell'altra mano come se stesse scaldando lo strumento di repressione prima dell'uso.

"Va bene, scenda da lì che adesso controlliamo."

Dudú si lascia cadere giù dai mattoni e per poco non frana addosso all'agente perchè le gambe non lo reggono più.

I due si avviano alla porta di ingresso seguiti dall'altro poliziotto.

Occorre attendere un pò prima che Gisella allacciandosi una vestaglietta improvvisata apra la porta con piglio indispettito.

"Buonasera signora, lei conosce questo individuo?"

La ragazza guarda ripetutamente l'uno e l'altro con aria irritata.

"No, chi è?"

A questo punto Erivaldo compie l'errore di affacciarsi per un attimo alla porta della camera.

"E lei signore lo conosce?"

Erivaldo si sporge nuovamente dalla porta quel tanto che basta per far pensare che sia solo a torso nudo.

"Ehm..., no. No, mai visto prima..."

Ma Dudú esplode.

"Come no, mi hai detto tu di venire qui e che potevo guardare dalla finestra, io non c'entro, è stato lui, lo giuro, mi conosce bene, anch'io lo conosco bene, è un bastardo, lo conoscono tutti..., pel'amor de Deus lasciatemi andare, io sono un bravo ragazzo..." Le lacrime cominciano a fluire copiose.

Gisella in un attimo ha capito tutto e si trasforma in una tigre, come a letto.

Si scaglia contro il namorado e comincia a tempestarlo di pugni e di schiaffi.

Il poliziotto cerca di contenere la sua furia ma lei è ormai una belva inferocita: botte e improperi senza controllo.

Dudú fa qualche passo indietro cercando di defilarsi ma l'agente Pavanello lo afferra per il coppino e Dudú si blocca congelato.

 

Per risolvere la questione i due agenti decidono di caricare tutti sul buggy e di portarli alla vicina delegacia di Canguaretama.

 

Giusto a titolo informativo occorre sapere che le pattuglie qui sono organizzate come negli States: un'auto e due poliziotti, parceiros, che fanno coppia fissa come si vede nei film americani; nel caso in questione l'auto è un buggy, molto più agile sui terreni accidentati di queste parti, in grado di muoversi all'occorrenza anche sulla sabbia delle spiagge.

La grande paura di Dudú è dovuta al fatto che se sei o sembri essere "qualcuno" vieni trattato con il giusto rispetto, se invece sei un povero cristo, come è la maggior parte degli abitanti del Nordeste, puoi correre il rischio in questura di subire l'eventuale malumore dei poliziotti, il che non è augurabile a nessuno.

Il tentativo di defilarsi è altrettanto giustificato in quanto l'identificazione sul luogo del "delitto" è quello che costituisce legalmente la flagranza.

Essere arrestato in flagranza di reato oppure no implica procedure penali decisamente differenziate. Nel secondo caso anche un pluriomicida con un buon avvocato riesce di solito a farla franca.

Un esempio al telegiornale di qualche giorno fa: a San Paolo quattro poliziotti in borghese stanno rapinando un distributore di benzina. Una pattuglia di passaggio interviene.

Immancabile sparatoria e, oltretutto, uno degli agenti intervenuti rimane ferito. Tre vengono presi, uno riesce a scappare. Questo verrà giudicato a piede libero, informa il commento, perchè "non colto in flagranza di reato".

Nella pratica, tra rinvii, ricorsi e prescrizione ne uscirà senza conseguenze anche se identificato nelle indagini.

La dilagante criminalità in Brasile è dovuta anche a questo ed altri modi stravaganti di applicare la legge.

Ma andiamo in questura a Canguaretama.

 

Il commissario, strappato dal suo divano davanti alla TV e trascinato dal dovere alla delegacia, è già di cattivo umore.

I tre gli stanno seduti davanti. Non appena cominciano ad essere esposti i fatti, Gisella, liberata dalle manette, dà inizio ad un secondo round tentando, con le unghie smaltate, uno sfregio permanente al viso di Erivaldo.

Erivaldo, che in presenza di testimoni è in dovere di mostrarsi per il macho che è, risponde con due ceffoni al volto che imbambolano, ma solo per qualche secondo, la belva. Dudú di sottecchi guarda la porta.

A questo punto il delegado, desideroso solo di tornare a vedere la partita del Flamengo, decreta l'arresto per tutti. No, non per tutti, quello col testone può andare, ma, come nei film americani, non deve lasciare la città... Ne parliamo domani.

 

"Puoi andare". Notare come, una volta che ci sei dentro, si passi rapidamente al "tu".

"E come faccio?" chiede Dudú.

Barra è a 12 chilometri, è quasi mezzanotte, mezzi non ce ne sono più...

"Non mi dareste un passaggio?"

Betinho e Pavanello si guardano, il loro turno termina alle due...

"Va bene, salta su"

 

La strada, buia e serpeggiante, corre in mezzo alla vegetazione giù verso il mare. Una luna quasi piena si tuffa e scompare nelle nuvole di passaggio per poi fare cucù all'improvviso come in un gioco a rimpiattino.

 

Betinho ad un certo punto si gira verso Dudù sul sedile posteriore.

"Senti una cosa Dudù..., maaa... dicci un po'... cos'è che hai visto lì dalla finestra..."

Dudú con il sollievo di non essere finito dentro e magari mezzo massacrato di botte, non si fa pregare.

 

I tre finiscono al bar di Gilmar. La bottiglia di cachaça al centro del tavolo é offerta dai poliziotti.

I tre stanno un po' piegati in avanti sul piano del tavolo, Dudú parla basso.

"...poi, sempre sul letto, si è messa diritta in verticale con la testa all'ingiù e poi lentamente ha cominciato ad aprire le gambe..."

"Nooo..." l'agente Betinho lascia cadere con un botto la testa sul tavolo mentre Pavanello si spara in gola tutto il bicchierino.

"Aspettate, aspettate, adesso viene il bello..."

 

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E' passato qualche mese, Dudú adesso lavora in Paraiba sempre alla costruzione della BR 101. Erivaldo è ritornato con una sua vecchia fiamma.

A Barra la vita scorre tranquilla, senza emozioni, come sempre.

I due parceiros, Betinho e Pavanello, due volte alla settimana sono di turno la notte. Passano davanti al mercatino Sao Luiz, girano su per la salita del Cafè Cremoso e imboccano la rua da Cima.

Duecento metri più avanti, prima del grande albero di mango, ogni volta il buggy quasi autonomamente rallenta un pò.

Lo sguardo corre istintivo a quella finestra, sempre accostata, che rivela una fioca luce accesa all'interno.

l rumore del motore copre il sospiro dei due poliziotti che, senza parlare, nella notte, al chiarore di una luna annoiata, pattugliano la quiete suprema di Barra do Cunhaù.