Gossip International

novembre 2007 

 

 

Pettegolezzi, fofocas in portoghese, gossips per quelli che se la tirano.

Nessuno sa, in un pettegolezzo di grande distribuzione, quanto sia verità e quanto sia farina del sacco dei pettegoli ma, per quanto le malelingue siano generalmente dannose, se il risultato è quello di provocare un sorriso credo che possiamo pure soprassedere sull'esigenza di avere, anche per questo tipo di cose, un certificato di genuinità.

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 Fofoca brasileira

 

Veronica ha da poco preso la patente.

Prima guidava senza, come la maggior parte dei brasiliani del Nordest.

Il suo istruttore di guida si chiama Petronio, detto "O Gordo", un ciccione un po' sderenato, ma che in passato ha avuto anche lui il suo periodo d'oro.

Il racconto me l'ha fatto Veronica, ve lo ritrasmetto pari-pari tradotto in discreto (o indiscreto?) italiano.

 

Da sempre fa l'istruttore di guida e ha conosciuto la sua attuale moglie nell'esercizio delle sue funzioni professionali.

Lei, la moglie, anni fa, si era iscritta a Natal nella scuola dove lui lavorava e, dopo una serie di accelerazioni e retromarce, incontri furtivi sul pomello del cambio e scambi di sguardi maliziosi nel retrovisore, tra i due era iniziata una storia.

Tutti due erano già sposati. Favoriti dal fatto che lui rientrava al paese solo nei fine settimana e il marito di lei faceva l'autista di autobus con turni antelucani, capitava che il nostro istruttore si intrattenesse in casa da lei anche nelle ore buie.

Ma, come quasi sempre succede "tanto va la gatta al lardo…" (qui era il lardo che andava dalla gatta), il marito aveva cominciato a sentire odore di bruciato.

 

Si dà il caso, ironia delle combinazioni, che la casa si trovasse sul percorso dell'autobus. Sicchè verso le cinque di una mattina, passa con l'autobus davanti a casa e vede parcheggiata lì la macchina con le scritte "Autoscuola Prudente" (da: via Prudente de Morais, dove c'era la sede).

 

Una parentesi culturale: in Brasile nell'anagrafica il dato più importante è il nome di battesimo. Se vi presentate a qualcuno, anche in situazioni formali, dite il nome, non il cognome come da noi. Nella guida del telefono che abbiamo qui in casa, il signor Eduardo Andrade de Oliveira lo devo cercare sotto Eduardo. Questo vale per qualsiasi situazione. Ecco perché "Prudente" e non "Morais".

 

Allora, il conduttore passa davanti a casa, vede la macchina già sospetta, nel sua testa si insinua una certezza, blocca il mezzo, apre le porte e si precipita in casa.

Trova i due; la fofoca non entra nei particolari ma comunque sono tutti e due lì e ad un'ora un po' strana, fosse anche per un corso di guida notturna.

Casino di prammatica. Lei cerca di calmarlo che tutto il vicinato sente. L'altro azzarda che l'autobus tardava ad arrivare ed è entrato a fare due chiacchere…

La scenata si protrae e a questo punto i pendolari rimasti abbandonati a se stessi arrivano protestando per la lentezza del servizio.

Come è abitudine qua, che la gente entra senza bussare, invadono la casa; chi parteggia per l'uno o per l'altro, chi chiede maggiori informazioni, chi dice adesso cosa racconto sul lavoro per il ritardo.

Alla fine il clima si raffredda un po', nel senso che il regolamento dei conti viene aggiornato a più tardi, nella giornata entrante.

Tutti escono…ma l'autobus non c'è più. Se lo sono fregato.

Verrà ritrovato il giorno dopo a Parnamirim, che è praticamente la Cinisello di Natal, intatto ma depredato della cassettina con i soldi dei biglietti venduti.

Questo è successo molto tempo fa. Nel corso degli anni la scuola Prudente ha aperto delle filiali, una anche qui vicino, a Canguaretama.

Veterano degli insegnanti: lui, ora meno impudente e probabilmente più prudente, Petronio detto il Gordo.

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 Fofoca brasileira

 

Anni fa lavoravo in una multinazionale e tra i miei clienti avevo una grossa società petrolifera con sede in tutti e quattordici i piani di un palazzo alla periferia di Milano.

L'ambiente, che frequentavo molto spesso, era particolarmente gratificante: progetti di grande contenuto tecnico, interlocutori di ottimo livello professionale, il tutto in un contesto efficiente e sereno, qualche volta anche scherzoso.

Un'azienda dove, per chi lavorava bene,  lo stipendio era buono e il posto di lavoro garantito e il capo era il capo perché era il migliore di tutti.

Erano altri tempi.

Naturalmente una pecora nera c'è sempre e, nella fattispecie del nostro racconto, era una signora. Quarantenne, nubile con orgoglio, piuttosto piacente e cosciente del suo fascino provocatorio e della sua vasta esperienza.

Radio Kabul bisbigliava che provarci con lei era un centro sicuro. E lei pare ce la mettesse tutta per evitare smentite. Il tam-tam dei corridoi affermava che sul suo piano se l'erano fatta tutti, e che probabilmente cominciava ad andarle stretto.

 

A quel tempo per un giovane non era un'impresa trovare lavoro ed era approdato in azienda un    neo-laureato, carino, dall'aria un po' timida: Igino Galbusera, per tutti "il Gino".

Appena arrivato, la "vaccona del sesto piano" (come la citavano affettuosamente tutti) gli aveva messo gli occhi addosso.

Sguardi, sorrisi, allusioni, sfioramenti, la mantide aveva messo in gioco tutte le sue risorse ma lui, il Gino, sembrava insensibile a tutto. Tanto che un giorno, in un pigro pomeriggio di mezza estate, lei in un momento propizio, l'aveva preso per la cravatta, lo aveva tirato dentro nel bagno delle donne e l'aveva messo di fronte alla…realtà.

Il Gino si era arreso alla prima scarica di fucileria, ma, vuoi per la giovane età, per l'inesperienza, forse per l'inconscio desiderio di sfuggire alla libidine della signora, la sua prestazione si era risolta in un uragano della durata di pochi secondi. E questo la signora non glielo perdonò.

Mai probabilmente si era sentita così umiliata. La frustrazione accese la miccia della vendetta. Lei aveva ben poco da perdere ed entro il giorno dopo tutto il piano conosceva il risultato dell'ultimo esame del dottor Igino Galbusera e la voce dilagò, più veloce degli ascensori, per tutti i piani sopra e sotto.

La storia è tutta qui; a volte il pettegolezzo lo mette in giro perfino chi dovrebbe essere il primo (o il secondo, in questo caso) a tacere.

Tutto qui tranne un piccolo strascico.

In quei pigri pomeriggi di mezza estate, in quell'ambiente impegnato e a volte un po' scherzoso, dagli uffici si poteva udire qualche buontempone passare per i corridoi canticchiando una canzone della Goggi che andava molto in quel periodo:

 

"…che importa se eee eee

per innamorarsi basta un'ora,

che fretta c'era, maledetto Galbusera,

che fretta c'era…"

 

Non raccontatelo in giro.